AL MUSEO NICOLIS DI VILLAFRANCA PIU DI 100 MOTO, DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI

Anche la motocicletta, come l’automobile, ha un’origine molto discussa; la sua storia segue di pari passo quella dell’automobile. Molti se ne disputano la paternità, ma é certo che la moto emette la prima “scintilla di vita” nel 1885, anno in cui Gottlieb Daimler realizza il motore monocilindrico a 4 tempi da 250 cc,  raffreddato ad aria e già dotato  di alcuni “apparati” che, perfezionati, ritroveremo nei motori attuali (accensione, valvole...).
Superate le prove iniziali (il motore eroga mezzo cavallo a 700 giri/min), Daimler prova il motore anche su strada e per questo lo monta sul mezzo più economico e semplice che ha a disposizione: una sorta di pesante biciclo con due ruote in legno.
Questo curioso veicolo può essere definito come la prima motocicletta. Daimler perfeziona inizialmente il suo motore su veicoli a due ruote e, successivamente, lo monta su una più stabile e comoda carrozza.
Il vocabolo “motocicletta” viene coniato alcuni anni più tardi, in Francia, dai fratelli Werner ma è il biciclo  di Daimler a suggerire in tutta Europa sperimentazioni più o meno geniali che favoriscono l’avvento della moto.
Nel 1887 il francese Millet applica addirittura un propulsore a 5 cilindri alla ruota di un triciclo, mentre  nel 1893 ( ma la data è controversa) il veronese Enrico Bernardi realizza il primo motociclo italiano: una bicicletta che porta agganciato nella parte posteriore un carrello monoruota, equipaggiato con un motore che muove l’intero apparato.
La nascita dell’industria motociclistica é ormai alle porte; nel 1893 sono i tedeschi Hildebrand e Wolfmueller di Monaco di Baviera a iniziare la produzione in serie di un biciclo azionato da un motore.
Il primo modello, lanciato con un certo clamore in tutta Europa, é una complicata bicilindrica da 1490 cc  a  4 tempi che fornisce la potenza di 2,5 cv e la cui ruota posteriore viene comandata mediante un articolato gioco di biellismi.
Nel 1897 anche De Dion costruisce una moto, il cui motore sviluppa oltre 1,5 cv e può superare i 40 km/h.
Cominciano ad affermarsi alcuni nomi destinati a rimanere nella storia, come “Norton” e “AJS”; in Francia anche la “Peugeot” inizia a produrre, accanto alle automobili, le motociclette; in Italia ci sono Prinetti, Stucchi e la Bianchi.
Queste prime moto sono caratterizzate dalla trasmissione a cinghia, l’accensione a magnete, le sospensioni rigide; le cilindrate sono abbastanza elevate  (si va dai 350 ai 1000 cc) in quanto rappresentano l’unico mezzo per ottenere potenze accettabili. I disagi del pilota vengono ridotti, dotando le ruote anteriori di sospensioni elastiche e le selle di grosse molle. Ormai definita la motocicletta, si cominciano a disputare le prime gare, alle quali partecipano auto e moto contemporaneamente come - ad esempio - nelle storiche traversate europee, la “Parigi-Vienna” e la “Parigi-Madrid” del 1903. Nel medesimo anno iniziano a distinguersi le due specialità; si assiste così alle prime sfide, inizialmente a carattere nazionale e poi internazionali, nelle quali Francia e Inghilterra si disputano la supremazia tecnica ed agonistica.
Una competizione di notevole importanza é quella che si svolge nel 1903, in Gran Bretagna, in pista, e che vede fronteggiarsi un pilota francese e un inglese in sella a moto “mostruose”. Vince il francese Calliers a 86 km/h di media; e la gara può essere definita l’embrione delle corse di moto. Nel 1907 nasce il “Tourist Trophy”, una corsa leggendaria, che si svolge nell’isola di Man e che dà praticamente il via alla sport motociclistico moderno; questa gara é tuttora inclusa nel calendario dei campionati del mondo. Va comunque ricordato che la notorietà dei piloti di moto, modesta all’inizio, è destinata addirittura a diminuire progressivamente, non raggiungendo mai quella dei campioni del volante. Due eccezioni italiane sono i grandi Nuvolari e Varzi che, ancor prima di entrare nella leggenda automobilistica, sono campionissimi sulle due ruote.
Tra i piloti che suscitano maggiore entusiasmo vanno citati Stanley, Woods, Duke, Ubbiali, Hailwood e Agostini.
Nel frattempo si aggiungono all’elenco dei costruttori altre case quali la “Gilera” dal 1909, la “Benelli” dal 1911 e la “Harley Davidson”. In questo settore i mezzi sono sempre più perfezionati; i motori sono generalmente a 4 tempi con cilindrata raramente inferiore ai 350 cc, anche se si trovano delle moto minime da 100/150 cc a 2 tempi.
Anche se la scena é dominata dai monocilindri, non mancano tuttavia i bicilindrici boxer e addirittura i 4 cilindri; le potenze sono ormai aumentate e qualche 500 di serie raggiunge i 140 km/h.
Già negli anni ‘20 viene adottata la catena per la trasmissione e compaiono le sospensioni elastiche su entrambe le ruote e sui freni, anteriori e posteriori.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, alle industrie italiane superstiti (Bianchi, Garelli, Gilera...) se ne aggiungono altre;  é di questo periodo lo “scooter”, un veicolo rivoluzionario, pratico ed economico che,  sfruttando le tecniche delle lamiere stampate e saldate,  viene lanciato in grande serie dalla “Piaggio” e dall’”Innocenti”.

Lo scooter e la moto rappresentano in questo periodo storico un mezzo primario per il rilancio della motorizzazione, del piccolo commercio e del trasporto.
Verso il 1960, la diffusione dell’auto a fasce sempre più ampie di popolazione, riduce la produzione motociclistica, in costante competizione con le “quattro ruote”.
Alla fine degli anni ‘60 si assiste a una netta ripresa del mondo motociclistico anche grazie ai giapponesi che rilanciano il settore, proponendo la moto soprattutto come mezzo di svago.
Il boom si verifica negli Stati Uniti allargandosi poi a tutta l’Europa e diventando una vera e propria moda in cui si diffondono motocross, speedway, enduro, choppers...
Inizia così per la moto una “seconda giovinezza” che la porta sino ai giorni nostri, con innumerevoli successi sportivi , una ampissima gamma di modelli ed entusiasmanti specialità agonistiche.

ABC SKOOTAMOTA (1919) : l’antesignana dello “SCOOTER”
Non tutti sono d’accordo, ma pare che la parola scooter derivi dall’inglese “to scoot”, cioè “darsela a gambe”, “svignarsela agilmente”… …. Questa interpretazione, forse arbitraria ma certamente intrigante, la dice lunga sulla personalità di questo straordinario veicolo a due ruote che ha fatto innamorare milioni di appassionati in tutto il mondo. Nonostante l’Italia abbia un ruolo di grande rilievo nello sviluppo di questo mezzo, il primato per la sua invenzione va attribuito all’Inghilterra, con l’ABC Skootamota, il primo vero SCOOTER in grado di trasportare un passeggero. 
E’ vero che, nel secondo Dopoguerra, la febbre della rinascita e il desiderio di superare le precedenti condizioni di vita, resero pressante l’esigenza di un mezzo di trasporto individuale, duttile, a basso costo d’acquisto e di esercizio, programmato cioè su basi economiche e sociali.
Molte furono le realizzazioni presentate al pubblico ma non tutte registrarono adeguato consenso. Solo lo scooter, sorto per germinazione spontanea e non per “evoluzione della specie” rappresenta un nuovo genere di veicolo, rispondente alle prestazioni richieste e alle ambizioni della borghesia dell’epoca.
Lo scooter fu un fenomeno italiano che riuscì a interessare tutta l’Europa e ad imporsi successivamente nel resto del mondo. La parola inglese scooter, che significa MONOPATTINO, indica con precisione l’idea originaria che ha portato alla creazione di questo singolare veicolo: la pedana, elemento caratteristico del monopattino, diventa componente essenziale nella struttura dello scooter; le gambe assumono una posizione rilassata e la guida è alla portata di tutti.
“Alla portata di tutti”: ecco la vera essenza dello scooter. Già durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale si portarono avanti progetti e realizzazioni di scooter, ma è senza dubbio nel dopoguerra - e per merito di tecnici italiani - che vengono proposte le soluzioni più originali. Appaiono così sul mercato le “mitiche” VESPA e LAMBRETTA. La Vespa, uno scooter prodotto da Piaggio (esperta in campo aeronautico) già nel 1945, con carrozzeria portante e forma chiusa, tondeggiante e non aggressiva, deriva il suo nome dalla vita sottile e dalla struttura aeronautica, come quella dell’insetto. Silenzioso e più comodo di una moto, rivoluzionario nell’assetto di guida, consentiva minori consumi e costi, anche se nel ‘47 occorrevano ottantamila lire per comperarlo, ovvero due mesi del salario di un impiegato. A contrastare la Vespa scese in campo la Lambretta di Innocenti, uno scooter a struttura portante tubolare, più aggressivo e - secondo alcuni - più giovanile  rispetto al rivale. La prima versione presentava per il telaio una struttura a trave unica, costituita da due semigusci in lamiera stampata. Tale modello viene poi modificato in una seconda e definitiva versione che utilizza come struttura portante un tubo di grosse dimensioni (quelli nei quali è già specializzata l’industria milanese).
Con un prezzo d’acquisto notevolmente inferiore, lo scooter diventava un surrogato dell’automobile. Si presenta come un veicolo per gli spostamenti urbani e le gite familiari della domenica. La carenatura completa, che non costringe ad usare indumenti speciali, la ruota di scorta come per l’automobile, sono elementi determinanti del suo successo. Nell’Italia che non è più il paese di “Ladri di biciclette” ma sempre più quello de “Il sorpasso”, lo scooter rappresenta uno dei simboli della transizione, della libertà di muoversi e dell’affermazione sociale. A tutt’oggi esso mantiene molte delle valenze che costituiscono la “base genetica” della sua architettura.

(PREMIER 3.5 HP competition 1913 -  Inghilterra)
Si chiamava HILLMANN, HERBERT & COOPER ed aveva lo stabilimento a Coventry. Si fece notare nel 1885 per la produzione di una bicicletta con particolare sistema di leve denominata Kangoroo (anche questa esposta al Museo Nicolis). Nel 1891 la Società venne trasformata in PREMIER CYCLE COMPANY LIMITED e divenne la più grande fabbrica di biciclette del mondo. Nel 1908 all’ Esposizione di Londra presso il Crystal Palace compare la prima motocicletta PREMIER, con motore “White & Poppe” di 427 cc. Dal 1909 al 1914 una piccola squadra corse Premier è sempre presente nella classifica, inglese pur senza ottenere alcun successo. Nel 1921 la Casa viene assorbita dalla Singer. Le Premier continuano però ad essere costruite in Cecoslovacchia fino al 1933.
L’aneddoto: La moto esposta al Museo Nicolis viene acquistata il 21 maggio 1913 da ADOLFO PETRACCHI per l’insistente figlio TORQUATO, alla  cifra di 1.180 lire - Le raccomandazioni a non correre sono inutili; Torquato non resiste alla tentazione di raggiungere i 40 km orari e così, arrivato in città superando i limiti consentiti, finisce in Pretura. Il 13 ottobre dello stesso anno, l’incorreggibile Petracchi Jr, sempre in preda alla velocità, investe il malcapitato 70enne Angelo Ceroni e l’incidente gli costa un processo che lo condanna a 250 lire di multa.

(MOTO DA RECORD BIANCHI TONALE 1956 -  Italia)Nel 1956 la Tonale 175 vinse il Giro d’ Italia con Gino Franzosi e la Milano-Taranto con Daminelli nella categoria “Derivate di Serie”. Alla fine del 1956, lo stesso Franzosi, a Castelfusano, batte il record sul miglio e manca per un soffio quello sul chilometro. Nel 1957, per i record di durata, la Tonale viene rivestita con una speciale carenatura allungata, realizzata in collaborazione con l’ingegner Nardi, progettista di aerei. Con questa versione il 19 Novembre 1957, a Monza, vengono battuti  il record dei 1000Km in 5h 23’ 9”, alla media di 185,664 Km/h. e quello delle Sei Ore con 1114,428 km percorsi, alla media di 185,721. Ed è proprio questa versione della 175 Tonale da record, unica per la carenatura filante e regina delle sportive degli anni ’50, che si può ammirare al Museo Nicolis.

(NORTON MANX corsa corta 1962  -  Inghilterra)
Con questa moto, la prestigiosa Casa di Birmingham ottenne alcune delle sue affermazioni più importanti, come quella di Derek Minter che nel 1962 si aggiudicò il Campionato britannico nelle classi Senior, Junior e 250, un eccellente secondo posto nel Gran Premio d’Olanda e innumerevoli piazzamenti che lo portarono ad essere uno dei piloti di maggiore successo sulle piste di tutto il mondo. La moto, che proviene dal Museo di Birmingham, è dotata del famoso telaio “Featherbed” (letteralmente, letto di piume), così battezzato da alcuni piloti per celebrarne l’elevato grado di comfort.

(GILERA 500 SATURNO SPORT  1947  - Italia)
E’ ritenuta un capolavoro e uno dei modelli più importanti di tutta la produzione italiana. Secondo gli esperti con un solo rivale: il  Moto Guzzi Falcone.
 Progettata da Luigi Salmaggi sul finire degli anni trenta e presentata al Salone di Milano del 1940 come erede della Otto Bulloni, la Saturno è una monocilindrica quattro tempi da 500 cc. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale ritarda però l’inizio della produzione in grande serie che sarà rinviato al 1946 (6 esemplari "Tipo Competizione" verranno costruiti prima della guerra).
Il motore è il tradizionale monocilindrico Gilera ad aste e bilancieri di 500 cc, con le "classiche" misure di alesaggio e corsa delle mezzo-litro della Casa di Arcore, ovvero 84x90 mm. Per quanto riguarda la ciclistica, il telaio è un monoculla aperta in tubi; la forcella è a parallelogramma, mentre sul posteriore sono utilizzati dei molloni, inseriti in foderi ai lati della ruota e assistiti da ammortizzatori a compasso. Questo sistema è impiegato in Gilera sin dalla metà degli anni trenta; il cambio è un quattro marce con comando a pedale.
Quattro le versioni disponibili: "Turismo", "Sport", "Competizione" e "Corsa".